Le piante che aiutano la digestione

Siamo abituati a sentir dire “io sono quello che mangio”, eppure, quanto digeriamo il cibo che ingoiamo?

Arriva dall’oriente, un interessante spunto di riflessione che evidenzia la centralità del processo digestivo, indirizzandoci a comprendere da cosa dipendono il gonfiore addominale e la produzione di muchi. Se partiamo dalla premessa che la malattia esprime uno squilibrio interno all’organismo, secondo la medicina tradizionale tibetana Ayurveda, è nello stomaco che tutte le patologie hanno origine. In base a come avviene la digestione e all’attività del fuoco gastrico (Agni), le sostanze assunte attraverso l’alimentazione, possono essere di sostegno e protezione da malattie, quanto inquinanti e dannose per l’organismo.

Quando la funzione del fuoco metabolico è compromessa a causa di un’alimentazione inadeguata alla costituzione della persona, si creano muchi addominali, intestinali o polmonari, spesso sottovalutati perché si manifestano con comuni patologie quali gonfiore addominale, eruttazione acida, nausea, dissenteria. Si ipotizza una cattiva digestione, si osserva un periodo di dieta leggera e in bianco, a base di amidi (che di fatto incrementano la congestione dei fluidi nelle zone interessate) e poi si torna alla routine alimentare. In realtà, il sintomo come sempre, è una sirena che ci sta avvisando per evitare patologie pesanti. Secondo l’Ayurveda, gli esseri umani interagiscono costantemente con i cinque elementi (Aria, Etere, Fuoco, Acqua e Terra) che equilibrano o alterano l’omeostasi, innescando processi infiammatori.  La teoria tridosha, si rifà ai tre principi dinamici Vata, Pitta e Kapha, definiti anche tipi costituzionali collegati ai cinque elementi. Ogni principio biologico, dosha costituzionale, regola una o più funzioni del corpo umano dove Kapha (acqua + terra) governa i fluidi del corpo (luquidi e muchi) e la lubrificazione delle articolazioni.

Il muco è in genere un sottoprodotto della digestione e se il fuoco metabolico funziona male, avremo una produzione eccessiva da parte di tutti i tessuti preposti alla sua secrezione. A partire dai polmoni (che devono secernere sostanze lubrificanti per controbilanciare l’effetto essiccante della respirazione), dalle ossa e dalle articolazioni (che richiedono lubrificanti mucoidi), dalle membrane dello stomaco e all’intestino dove le tossine completano il loro viaggio per essere espulse. Al fine di contrastare lo squilibrio kapha, l’Ayurveda opera sull’armonizzazione del dosha Pitta che presiede il fuoco gastrico, attraverso il supporto offerto dalle piante officinali e con l’eliminazione dalla dieta, di quelle sostanze che incrementano la produzione di muco. Per stimolare la digestione, disperdere i gas ed eliminare il gonfiore addominale, madre natura ci ha donato una famiglia di piante denominate carminative che agiscono in sostegno del fegato sulle secrezioni enzimatiche necessarie per una buona digestione e assimilazione. Esse contrastano i dolori del tratto epigastrico, il reflusso gastroesofageo, nausee, vomito, stipsi e dissenteria. Si definiscono, anti kapha e sono proposte molto spesso insieme alle piante che dissolvono l’umidità, gli stomachici ad azione essiccante e stimolante della circolazione, per favorire l’assimilazione e la circolazione linfatica. Accade, infatti, che in caso di cattiva digestione si creino ristagni, riconosciuti come catarro addominale e congestione dei fluidi gastrici.

Le piante stimolanti, calorifere, dissolvono il muco ed eliminano la tosse grassa perché integrano il fuoco ministeriale prodotto dalla coppia milza-pancreas, denominato in ayurveda Agni. Quando vi è ristagno di cibo, si generano tossine nell’organismo che entrano in circolo generando disturbi visibili a occhio nudo con l’analisi della lingua. Un ristagno freddo di cibo crea una patina grassa e biancastra, mentre un ristagno caldo di cibo si caratterizza con alitosi e una patina grassa e giallastra sulla lingua. Pertanto le piante che migliorano la digestione, contribuiscono anche a ridurre il muco che si produce con eccesso di umidità nel corpo, ed è distinguibile dal catarro giallognolo, perché biancastro e lattiginoso.

In conclusione, abbiamo ora chiaro che il muco non è soltanto polmonare, ma lo troviamo anche nello stomaco e nell’intestino; se si annida nei polmoni dà origine a tosse grassa, asma, respiro corto e dolori intercostali, se ristagna nello stomaco può provocare nausea, vomito, stomaco gonfio, tosse secca e perdita di appetito.

E nell’intestino invece, compromette la peristalsi e inibisce il funzionamento del microbiota, causa dell’insorgere di innumerevoli patologie.

· Stefania Gigliotti